America e Russia Miti a Confronto.

Cartina dell'Italia

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ITINERARI - IL MONDO ATTUALE - STORIA - AMERICA E RUSSIA: MITI A CONFRONTO

GLI USA

L'IMMAGINE DELL'AMERICA

... Il primo cinema a Eboli fu costruito subito dopo i bombardamenti, lo chiamarono Supercinema e lo fece fare Pezzullo, il padrone del più grande mulino e pastificio... e ci volevano i carabinieri tanta era la folla per regolare l'entrata...

Così un modesto allevatore, Cosimo Montefusco, aiuto bufalaro della piana di Eboli, in Lucania, ricordava l'arrivo del cinema in questo sperduto Paesino meridionale subito dopo la Seconda guerra mondiale. Quanto alla programmazione, non doveva essere molto diversa da quella rievocata dal gestore di una sala popolare nello stesso periodo in un piccolo centro della Puglia:

... Il cinema americano, il western fu il nuovo campo di battaglia... John Wayne, Randolph Scott, Clark Gable divennero presto popolari... Il film mitologico e il film storico furono i nostri beniamini... Sansone e Dalila e Via col vento furono proiettati per ben cinque volte...

Le immagini proiettate su teloni di fortuna facevano scoprire che «laggiù, in America, c'erano posti come Tombstone, generali come Patton, ballerini come Fred Astaire e ragazze come Ginger Rogers!», attivando quei meccanismi di identificazione con i modelli di vita di oltre Atlantico che avrebbero trovato nel personaggio di Nando Meniconi, il protagonista del film di Steno Un americano a Roma, interpretato da Alberto Sordi, la più compiuta e maniacale realizzazione. Dello straordinario potenziale di fascinazione sulle masse di quella che è stata definita assai opportunamente la «diplomazia del cinema» erano ben consapevoli gli osservatori americani che sin dal 1943, subito dopo lo sbarco in Sicilia, segnalavano nelle popolazioni del Sud una fame crescente di film statunitensi. E indicavano nella riapertura del dialogo con il pubblico italiano, delle grandi città come della provincia, già instaurato con successo da Hollywood negli anni tra le due guerre e bruscamente interrotto dal conflitto, un essenziale veicolo di propaganda e defascistizzazione, oltre che, naturalmente, un mercato che andava riconquistato e difeso dalla concorrenza interna ed esterna. Come avrebbero ribadito qualche anno più tardi i funzionari del Piano Marshall, il cinema era uno strumento insostituibile per mettere in comunicazione la realtà statunitense con una società come quella italiana, soprattutto meridionale, dove la parola scritta non era spesso ancora arrivata. Così Hollywood rinsaldava vecchi legami già operanti negli anni Trenta, quando nella Rimini di Federico Fellini «erano i divi e le dive della Mecca hollywoodiana a portare... nel natio borgo selvaggio... il fascino del mondo esotico e a creare il mito dell'America... favolosa di cowboy e pellirosse, di miliardari... e di bellissime vamp». Al tempo stesso, però, essa risuscitava e rafforzava antiche remore e rancori, parte di quell'antiamericanismo, diffuso in tutto il vecchio continente nel periodo fra le due guerre come sintomo di rifiuto della modernità e delle sue sfide, che in Italia si era caricato degli accenti nazionalistici e magniloquenti della cultura del regime. I residui di questi atteggiamenti si combinavano ora alla diffidenza, quando non all'aperto rifiuto, del mondo ecclesiastico nei confronti della spregiudicatezza di costumi che le immagini cinematografiche e gli echi letterari e giornalistici attribuivano alla società Usa. A livello popolare, del resto, l'indubbio fascino di cui si è detto non andava disgiunto sia da un tentativo di trovare mediazioni tra il nuovo e la tradizione (si pensi al Sordi-Meniconi di Un americano a Roma che cerca di conciliare spaghetti e mostarda), sia da un qualche senso di invidia e risentimento nei confronti della superpotenza egemone e, per traslato, della sua cultura di massa. Sentimenti, questi, che, a mano a mano che avanzavano la «guerra fredda» e la spaccatura del mondo in due blocchi, potevano trascolorare in ostilità più o meno dichiarata, alimentando il conflitto tra modelli di società e di sviluppo che attraversava il Paese. Tutto questo non impedì comunque l'ampia diffusione dei miti hollywoodiani e il riproporsi anche in Italia dei meccanismi contraddittori propri della cultura di massa. Tra schermo e platea si giocava una complessa partita, fatta da una parte di aspirazioni, spesso indistinte, ad un'esistenza migliore e dall'altra, di modelli di comportamento che si risolvevano nella semplice esaltazione del successo e della ricchezza, e tuttavia inevitabilmente segnalavano lo scarto tra la vita reale e altri mondi possibili. In essi, come era accaduto negli Usa nel periodo tra le due guerre, ci si rifugiava alla ricerca di pure compensazioni simboliche come quelle che provenivano da un lieto fine. Ma è pur vero che quel lieto fine aiutava a tirare avanti, giorno dopo giorno, e poteva anche essere interpretato come una promessa (e una garanzia) di tempi migliori. Tutti questi fenomeni si riproponevano con una forza e un'ambiguità amplificate quando anche nelle case italiane, tra gli anni Cinquanta e Sessanta, arrivava la televisione. E con essa l'universo dei consumi di massa che abbattevano le tradizionali barriere tra pubblico e privato, dissolvendo l'usuale senso dello spazio e aprendo la strada ad inaudite forme di manipolazione delle coscienze, non meno che a più ampi processi di alfabetizzazione e circolazione delle informazioni. Anche l'«americanizzazione del quotidiano» che passava attraverso il nuovo medium non andava esente dalle contaminazioni e sovrapposizioni operate dalla cultura dell'establishment cattolico e nazionale. Favorevole ad un sistema di immagini prive di connotazioni di classe, esso intendeva comunque difendere, non senza una certa flessibilità, quei valori religiosi, familiari e tradizionali che una commercializzazione troppo spinta, con i suoi tratti individualistici, laici e in una certa misura «egualitari», sembrava mettere a repentaglio. Il che non toglie che, per quanto attutito e reinterpretato alla luce dei residui di cultura umanistica che suggerivano una più pudica esibizione dei prodotti nei programmi televisivi rispetto all'originaria formula d'oltre Atlantico, il modello consumistico si diffuse anche nel nostro Paese. Ne emergeva l'immagine di un'America che, prima e più che terra della libertà, tornava ad essere, come nelle lettere degli emigranti d'inizio secolo, sinonimo di abbondanza. Con la differenza che ora questo valore perdeva i connotati familiari e vaghi del «paese di cuccagna» per ancorarsi in maniera esplicita, nella propaganda pubblicitaria e politica, al mondo del mercato e della libera impresa. Ricostruire attraverso quali complessi meccanismi mentali, di rifiuto e al tempo stesso recupero e selezione della propria memoria, la generazione cresciuta con la televisione in casa sarebbe arrivata, attraverso le immagini del Vietnam e dei ghetti neri, a scoprire l'«altra» America delle cartoline precetto in fiamme e delle università occupate, è stata una sfida stimolante e quanto più difficoltosa per lo storico.

L'AMERICA NELLA «GUERRA FREDDA»

Fra il 1941 e il 1945 gli Usa si erano ... continua ...

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25 Ago. 2025 1:24:30 am

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